Abbazia di Sant'Antimo e Montalcino
Divino e di vino
Approfondimenti
Il brunello di Montalcino docg
La vocazione del territorio di Montalcino a produrre vini di grande qualità è nota da molti secoli. Già nel Medioevo gli statuti comunali regolamentavano la data d’ inizio vendemmia, mentre durante l’assedio spagnolo e fiorentino del 1553, il vino non mancò mai e Blaise de Montluc, alla difesa delle mura montalcinesi, per dissimulare le sofferenze “si arrubinava il volto con il robusto vino”. Secondo il bolognese Leandro Alberti (1550-1631), Montalcino è: “molto nominato per li buoni vini che si cavano da quelli ameni colli”. L’ auditore granducale Bartolomeo Gherardini nella sua visita a Montalcino del 1676-1677 segnala la produzione di 6050 some di vino descritto come “vino gagliardo, non però in gran quantità”.
Charles Thompson nel 1744 dice che “Montalcino non è molto famosa eccetto che per la bontà dei suoi vini”. Il padre precursore della produzione del vino Brunello di Montalcino fu certamente Clemente Santi. Nel 1869 un suo Vino Scelto (Brunello) della vendemmia 1865 fu premiato con medaglia d’argento dal Comizio del circondario. Nel 1893 il Ministero dell’Agricoltura premia un vino di Raffaello Padelletti e all’inizio del ‘900 il Brunello di Riccardo Paccagnini vince molti prestigiosissimi riconoscimenti sia nazionali (Esposizione Franco Italiana di Roma nel 1910), sia internazionali (grand prix per il Brunello 1894 e médaille d’or per uno del 1899). Il professor Martini della Scuola di Viticoltura ed Enologia di Conegliano Veneto, nel 1885, in una conferenza su “La ricchezza avvenire della provincia senese” mette in evidenza che il Senese “è ormai conosciuto su tutti i mercati vinicoli nazionali e anche nei principali esteri, per vari tipi di vino, tra cui il Brunello di Montalcino”. Le vicissitudini dell’inizio del XX secolo portarono a un decadimento della produzione viti-enologica e pochissimi produttori tennero viva la produzione montalcinese fra le due guerre. Il Brunello di Montalcino fu presentato da alcune aziende alla Mostra dei Vini Tipici Senesi tenutasi a Siena nel 1932, 1933 e 1935. Al termine della seconda guerra mondiale si iniziò nuovamente a pensare alla produzione vitivinicola e alcuni ebbero la lungimiranza di proiettarsi nel futuro, accordandosi sulle regole di produzione del Brunello di Montalcino. Il Brunello di Montalcino è un vino visivamente limpido, brillante, di colore rubino intenso, tendente al granato con l’invecchiamento. Ha profumo intenso, persistente, ampio ed etereo. Si riconoscono sentori di sottobosco, legno aromatico, piccoli frutti, leggera vaniglia e confettura composita. Al gusto il vino ha corpo elegante e armonico, nerbo e razza, è asciutto e con lunga persistenza aromatica. Per le sue caratteristiche, il Brunello di Montalcino sopporta lunghi invecchiamenti, migliorando nel tempo. È stato verificato che si può conservare, in funzione delle caratteristiche delle annate, per un minimo di dieci e fino a trenta anni, ma può essere tenuto in cantina anche più a lungo. Naturalmente va conservato nel modo giusto: in una cantina fresca, con luce scarsa, a temperatura costante, senza rumori e odori; le bottiglie tenute coricate. Il territorio di produzione del vino Brunello di Montalcino corrisponde all’area del comune di Montalcino in provincia di Siena, si trova nella Toscana sud-orientale a 40 chilometri a sud della città di Siena. Il territorio di produzione ha una superficie complessiva di 243,62 chilometri quadrati, è delimitato dalle valli dei tre fiumi Orcia, Asso e Ombrone, assume una forma quasi quadrata, i cui lati misurano mediamente 15 chilometri. L’area così definita si sviluppa in altezza dal livello di circa 120 metri slm lungo i fiumi, fino a circa 650 metri a ridosso del Poggio Civitella che è il punto più alto del territorio. La collina di Montalcino ha numerosi ambienti pedologici, essendosi formata in ere geologiche diverse, riconducibili ad arenarie, anche miste a calcari, ad alberese e a galestro, nonché a terreni con granulometrie miste, sia tendenti al sabbioso sia all’argilloso. La collina di Montalcino dista 40 km in linea d'aria dal mare ubicato ad Ovest e circa 100 km dalla catena appenninica che attraversa l’Italia Centrale, posizionata verso Est. Il clima è mediterraneo, ma comunque tendenzialmente asciutto; presenta anche delle connotazioni continentali data la posizione intermedia tra il mare e le montagne dell’Appennino Centrale. Questo è dimostrato dalle medie delle precipitazioni e delle temperature rilevate. Le precipitazioni sono concentrate nei mesi primaverili e autunnali, come avviene nei climi mediterranei e la media annuale delle precipitazioni è di circa 700 millimetri. In inverno, sopra i 400 metri, sono possibili le nevicate. La fascia di media collina non è interessata da nebbie, gelate o brinate tardive, mentre la frequente presenza di vento garantisce le condizioni migliori per lo stato sanitario delle piante. Durante l'intera fase vegetativa le temperature sono prevalentemente miti e con elevato numero di giornate serene, caratteristica ideale ad assicurare una maturazione graduale e completa dei grappoli.
Il Tartufo
Fin dall’antichità questo fungo ipogeo del genere Tuber, che nasce e vive sottoterra in prossimità di radici di alcune specie di alberi e arbusti mediterranei quali querce, pioppi, tigli, salici e carpini ha destato curiosità e gradimento e anche molte leggende sulla sua natura ed effetti sull’uomo. Il suo aroma e gusto insolito pare che abbia realmente delle proprietà stimolanti e produca sicuramente piacere nel nutrirsi, recuperando ancor oggi aspetti del senso olfattivo e gustativo ormai perdute. Questo lo era pare anche per i Babilonesi che lo consumavano nel 3.000 a.C. come testimonia la sua presenza nella dieta dei Sumeri ed al tempo del patriarca Giacobbe intorno al 1.700 a.C.
Trasferito nella mitologia greca ai romani come potente afrodisiaco secondo la credenza che scaturisse dalla combinazione di acqua, fuoco e fulmini scagliati dal dio Zeus/Giove in prossimità della tanto amata quercia, e dedicata ad Afrodite, dea dell’amore. Tutto ciò conferma il suo apprezzamento in epoca romana ed aveva un prezzo elevato proprio a causa della sua rarità, dovuta alla sua difficile reperibilità. Le prime ricette dove si utilizza il prezioso Tuber si ritrovano nel De re coquinaria, opera capostipite di Marco Gavio detto Apicio, celebre gastronomo vissuto ai tempi dell’imperatore Tiberio (14-37 d.C.). Per alcuni “scienziati” dell’epoca medievale, il suo aroma era una sorta di “quinta essenza” che provocava sull’essere umano un effetto estatico. Il tartufo quindi viene definito come sublime sintesi della soddisfazione dei sensi a rappresentare l’essenza di un piacere superiore. Ma fu nel Rinascimento che il tartufo venne non solo riscoperto, ma grande protagonista delle mense aristocratiche: la Regina CATERINA DE’ MEDICI lo porta come grande prelibatezza innovativa dalla tenuta del Castello mediceo di Cafaggiolo a Barberino di Mugello (FI), fino alla corte di Francia. Il dilemma spesso è sul riconoscimento: tartufo bianco o tartufo nero? Qual è il piu prezioso? Meglio dire qual è il gusto e l’utilizzo perché sono entrambi rari ma hanno diversità di provenienza e di habitat, diversità di periodo di raccolta e quindi anche di aroma. Chi preferisce essere grattato perché molto saporito, chi preferisce riscaldarsi in piatti cotti perché meno acuto nel sapore. Per quanto riguarda i tartufi bianchi, due sono le specie più note, ma soprattutto commestibili.Il primo è il Magnatum Pico, noto con il nome di bianco d’Alba. E’ possibile trovarlo nell’albese, ma anche nelle zone di Urbino, nel Molise, in Abruzzo ed è capitato di raccogliere qualche esemplare anche al sud Italia. Poi c’è il Tuber Borchii, noto come bianchetto o marzuolo, anche questo è un tartufo bianco. Non solo è poco pregiato, è anche meno buono, non presentando il sapore intenso tipico di questo genere di fungo, che è possibile trovarlo nell’entroterra della provincia o tra le pinete della costa del territorio toscano. Nella Maremma Grossetana il tartufo cresce con estrema facilità ed è generalmente più gradevole, persino per i palati più raffinati. Il tartufo marzuolo – la varietà locale – si sviluppa molto bene sul terreno sabbioso del litorale dove viene raccolto di continuo. A differenza dei funghi epigei che sviluppano corpi fruttiferi al di sopra del terreno, i funghi ipogei non possono sfruttare le correnti d’aria per la dispersione delle spore. Essendo creati con un forte odore, percepibile solo al momento della maturazione delle spore, attira così insetti e mammiferi, i quali cibandosi del tartufo, provvedono alla diffusione delle spore. Ecco che il fiuto dell’amico dell’uomo diventa insostituibile. Il lagotto, la razza canina preferita che da secoli viene addestrata in tal senso, ma anche spinoni, ed incroci con particolare attitudine sensoriale, supportano e collaborano alla ricerca da veri intenditori. Il mestiere di “tartufaio” non è mai semplice, implica conoscenze naturalistiche e spiccata dote olfattiva, oltre che ad una conoscenza del territorio e una notevole pazienza, forse la principale virtù, in quanto i tartufi maremmani non sono mai semplici da trovare e raccogliere: in Maremma il “tartufaio” è uno stile di vita oltre che una passione.